domenica 15 luglio 2012

Andata senza ritorno

Trenitalia potrebbe ambire a diventare simbolo dell’Italia. Chi non ha nella sua memoria un “viaggio della speranza” sopra vagoni che ricordano vagamente i carri per il bestiame? Quanti ricordano le interminabili attese sotto i cartelloni elettronici dove (troppo spesso) il nome del treno sparisce senza spiegazioni? Recentemente l’Emilia Romagna ha dato il ben servito all’azienda per la pessima gestione del “problema neve” di quest’inverno, segno che qualcosa non funziona.
Negli ultimi mesi sono due le vicende principali che hanno coinvolto Trenitalia. La prima risale al dicembre del 2011, e riguarda il licenziamento di 800 addetti alle cuccette per treni notturni. Causa di ciò è il cambio dell’azienda in subappalto che li gestisce.
Un'interrogazione parlamentare del 30 dicembre 2011 presentata da Antonio Di Pietro dice: "800 lavoratori della Servirail, Wasteels e Rsi (cuccettisti e manutenzione del servizio treni notturni) presenti su tutto il territorio nazionale e in particolare a Roma, Milano, Napoli e Torino, sono stati licenziati l'11 dicembre 2011 [...]. il 24 maggio 2011 Trenitalia ha modificato di fatto unilateralmente il contratto in essere con Servirail e Wasteels, anticipandone la scadenza". Trenitalia ha infatti rescisso l’accordo precedente in favore dell’azienda francese Veolia Transport. Alcuni degli ex dipendenti hanno protestato contro alcune irregolarità nel cambio dell’appalto e nella non trasparenza della stessa, nonché per il mancato riassorbimento del personale. A oggi, infatti, solo alcuni sono stati reintegrati (con altre mansioni e, a quanto si legge nella stessa interrogazione parlamentare, senza contratto regolare) all’interno dell’attuale società affidataria. Secondo il sindacato Fast Ferrovie (che ha dichiarato sciopero per i giorni del 19 e 20 luglio 2012) alcune mansioni saranno riservate a personale francese quando prima era di competenza di personale italiano. “Le Organizzazioni Sindacali hanno più volte richiesto un tavolo di confronto che potesse portare ad una soluzione condivisa, ma a tutt’oggi non vi è stata alcuna discussione di merito”. Continua il comunicato: “La frammentazione del settore ha comportato nel corso dell’ultimo triennio il moltiplicarsi delle società aggiudicatarie e affidatarie dei servizi erogati alle imprese ferroviarie, ciò ha avuto quale conseguenza la perdita di numerosi posti di lavoro, il ricorso massivo agli ammortizzatori sociali e il dumping contrattuale. La contrazione dei servizi e delle risorse ha inoltre acuito le difficoltà nel regolare pagamento delle retribuzioni”.
Il sindacalista Fast Ferrovieri accusa: “Il sindaco Piero Fassino si rifiuta di riceverci e l'assessore regionale ai Trasporti Barbara Bonino non ha fatto nulla di concreto per darci una mano".

Vicenda molto simile è quella delle 170 operatrici di call center di Trenitalia che sono state licenziate a giugno. Anche per loro il problema è da individuarsi nella società affidataria (Format Contact Center), motivo per cui Trenitalia respinge qualsiasi accusa. Intanto però le operatrici non hanno percepito lo stipendio degli ultimi due mesi di lavoro e, a seguito dello sciopero da loro organizzato, si sono ritrovate con i badge smagnetizzati, e quindi licenziate. Una manovra (se è vero quanto loro stesse hanno dichiarato in un’intervista) che ha alla base un concetto spaventoso: “scioperi e ti licenzio!”.
Almaviva, la società che subappaltava alla Format la gestione dei Call Center di Trenitalia, con il totale controllo della Tsf (Tele Sistemi Ferroviari S.p.A. - azienda italiana che opera nel campo dell'Information Technology, nata nel 1997 dalla Divisione Informatica delle Ferrovie dello Stato) ha deciso di puntare su nuovo personale ad assumere con contratti di apprendistato, dunque meno costosi dei precedenti. Le operatrici licenziate non saranno reinserite, in quanto sul loro Contratto nazionale non era presente la clausola di salvaguardia sociale che prevede, nel cambio di appalto, il riassorbimento dei lavoratori.
Se è possibile riscontrare un simile atteggiamento nel rapporto dipendente - datore di lavoro già negli anni passati, sembra che oggi (forse marciando con la parola passepartout "crisi") si stia aprendo un nuovo capitolo per i lavoratori italiani, in cui diritti e sicurezza vengono aboliti nell’ottica di un “bene dell’azienda”. Sembra, insomma, sia iniziato un viaggio senza ritorno certo.

AB

lunedì 9 aprile 2012

Via Dante dalle scuole!

Dopo essere stato esiliato dai suoi concittadini, Dante rischia di essere espulso anche dalle scuole. L’accusa arriva da Gherush92, organizzazione non governativa no profit per i Diritti Umani che ha ottenuto lo status di consulente speciale del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC). Secondo l'organizzazione il Sommo sarebbe il peggior prototipo di omofobo, razzista, antisemita e islamofobo. “Il problema è la cospicua presenza di contenuti antisemiti e razzisti nelle opere letterarie, artistiche, storiche e filosofiche”, si afferma nel comunicato, “Un esempio emblematico è la Divina Commedia”. 
Vediamo per punti.

DANTE ANTISEMITA
Il primo riferimento va all’“ebreo Giuda Iscariota”, e suscita indignazione il fatto che “Il canto XXXIV è una tappa obbligata di studio e gli allievi delle scuole ebraiche non sono certo esonerati dal programma […]. Studiando la Divina Commedia i giovani ebrei sono costretti, senza filtri e spiegazioni, ad apprezzare un’opera che calunnia il popolo ebraico; essi imparano a convalidarne il messaggio di condanna antisemita, reiterato ancora oggi nelle messe, nelle omelie, nei sermoni e nelle prediche e costato al popolo ebraico dolori e lutti”.
La cosa lascia perplessi. La base del problema, come sostengono gli stessi membri di Gherush92, sta nella tradizione cristiana che, avendo tra gli avvenimenti fondanti il tradimento di Giuda, è antisemita e razzista. Ora, credere che Dante potesse essere Saramago nel XIV secolo è un tantinello esagerato.
Senza entrare nel merito se Cattolicesimo e Cristianesimo siano razzisti nei confronti degli ebrei, mi limiterò a ricordare che la Chiesa Cattolica è un organo politico e che, in quanto tale, ha sapientemente sfruttato il terrore dell’eresia per stringere le file degli adepti e aumentare il controllo. Vorrei anche ricordare che Cristo sulla croce perdona i suoi carnefici… ma non siamo qui a parlar di teologia.
Sotto accusa (oltre a quelli che raffigurano Giuda in bocca a Lucifero) ci sono finiti questi versi:
Se mala cupidigia altro vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,
sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida!
(Par. V, 73-81)
E sono stati definiti “un’anticipazione delle legge razziali di epoca fascista”. La volontà di aggredire Dante raggiunge qui livelli ossessivi se non proprio paranoici. Questi versi (con i precedenti e i seguenti) servono a Dante per delineare il comportamento corretto del buon cristiano che non deve abbandonarsi agli istinti (vedi “pecore matte”, che sarà ripreso nella terzina seguente con “agnel”), ma mantenersi saldo. L’ultimo endecasillabo si può parafrasare come segue: “Cosicché l’Ebreo (= straniero) che vive in mezzo a voi non possa deridervi (per il vostro continuo mutamento)”. È un razzismo, questo, da lasciare senza fiato!
Ma soprattutto: quanti lettori della Divina Commedia sono diventati nazisti? Forse anche Ramses II aveva letto la Commedia? Penso che qualcuno dovrebbe rivedere il significato del termine calunnia. 

DANTE OMOFOBO
L’anacronismo è un errore che consiste nell’attribuire persone, cose ed eventi a epoche diverse dalla loro. Pretendere una sensibilità contemporanea in un uomo del XIV secolo è anacronismo. Commettendo questo errore, i “critici” del Gherush92 continuano l’attacco al "Dante omofobo". Esiste, in effetti, il girone dei sodomiti. Ma si può parlare di omofobia? Non c’è traccia nell'intero Poema di quell’odio irrazionale che contraddistingue l’omofobia; né lo stile, né i commenti (del Pellegrino o di Virgilio), né la raffigurazione possono indurre a ritenere Dante un omofobo. Nella mondo ultraterreno da lui creato, il Poeta non mette in scena la “sua” visione, e non è lui che condanna. Anzi, il più delle volte lo vediamo costretto a constatare la punizione eterna di personaggi a lui molto cari, ammirati o che volentieri avrebbe salvato dal supplizio eterno. Esempi celebri sono Paolo e Francesca, il grande Farinata degli Uberti e Brunetto Latini che, guarda caso, si trova nel girone dei sodomiti.
È talmente “omofobo” il nostro Dante che, condannando Brunetto e i sodomiti, non lesina parole di grande affetto e stima per il suo vecchio maestro:
«Se fosse tutto pieno il mio dimando»
Rispuos’io lui, «voi non saresta ancora
De l’umana natura posto in bando;
ché’n la mente m’è fitta, e or m’accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m’insegnavate come l’uom s’etterna»
(Inferno XV, vv. 79-85)
Il finale del canto XV è poi proprio un gesto di vera tenerezza verso il “sodomita” Brunetto. Dante (autore e personaggio) rispetta la legge di Dio, ma non la comprende fino in fondo, e proprio in quei momenti scaturisce la sua grandezza poetica, quando si commuove per il triste destino degli uomini, così come per quello dei Grandi antichi che lui amava (primo fra tutti Virgilio) o i bambini non battezzati. Dov’è l’odio contro gli omosessuali? Contro il diverso? Dov’è il ribrezzo e l’accusa? Dante solo poche volte si indigna sul serio, ed è davanti ai vili, ai pusillanimi e ai corrotti. Mai, però, contro un uomo che abbia seguito il dettame del suo animo. 

DANTE ISLAMOFOBO
L’ultimo capo d’accusa è quello di essere islamofobo per aver rappresentato Maometto “scisso” in due nel canto XXVIII. Sempre tenendo conto dell’ottica della “legge di Dio”, il senso di questa particolare raffigurazione deve essere letta come “simbolo” di una “scissione” all’interno del mondo religioso e non come scherno o derisione, né tanto meno come prova di un disprezzo generalizzato. Se l’autore fosse stato davvero preda da un simile razzismo, non si capisce come mai ci siano solo brevi accenni e non accuse più costruite e invettive (che certo non ha risparmiato ai suoi concittadini). Il tono con cui affronta simili personaggi non differisce da quello usato per molti altri che diventano il “simbolo” di un mondo interiore.

CANCELLANDO PER PAURA…
La paura del gruppo Gherush92 è che questi contenuti “palesemente” (a detta loro) razzisti siano insegnati senza un filtro critico. Forse non hanno mai notato la sovrabbondanza di note e commenti che accompagna da sempre ogni riga della Commedia. Inoltre, qualche professore ha mai presentato la Divina Commedia come un testo sacro da cui attingere le verità morale? Si pretende che un lettore diventi un Cattolico ortodosso? Non lo credo proprio. Conosco moltissime persone che amano Dante e non sono nemmeno battezzate. Così non ho mai sentito di nessuno che, dopo aver tradotto il De rerum natura di Lucrezio si sia convertito all’epicureismo. Se leggo Hemingway devo diventare un cacciatore o un torero?
La letteratura non è propaganda. La letteratura (e l’arte in generale) non vuole convertire, ma offre una rappresentazione che, se compresa, amplia gli orizzonti e le possibilità conoscitive dell’uomo, sviluppandone la sensibilità e la ricchezza del suo  rapporto con il mondo.
Gherush92 si chiede: “Come evitare il senso di imbarazzo, frustrazione, umiliazione ed offesa che i versi di Dante veicolano? Come frenare l’istigazione all’odio che da tali versi emerge dirompente? […] E così Dante massacra gli ebrei “esteticamente” nelle terzine”. 
Dove, esattamente, Dante avrebbe “massacrato gli Ebrei”? Chissà come mai, ma il gruppo, nel suo commento, non cita nemmeno un verso che inciti all’odio, o che denigri gli ebrei o gli omosessuali. Non una sola volta è citato un nome collettivo a cui è affibbiato un epiteto denigratorio (che è poi l’essenza del razzismo). Non una sola volta Dante punta il dito contro una classe, o un gruppo, indicando in loro la causa del male o della corruzione. Chi ha studiato (e capito) Dante, sa bene che per lui le colpe non sono mai di nascita o condizione, ma sono interne all’uomo, e riguardano il rapporto del singolo con Dio.
Se dovessimo ascoltare il geniale consiglio del gruppo, incominceremmo a cancellare tutta la filosofia Scolastica dai programmi (la Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino è la base di lavoro di Dante). Ma perché non eliminare Catullo quando prende in giro gli omosessuali suoi conoscenti? Non trovano offensiva anche la Cappella Sistina? Un bel colpo di spugna e via! E la Passione secondo Matteo di Bach non è una pericolosa fonte di sovversione e razzismo? Forse sarebbe bene incarcerare tutti gli amanti di Bach, i peggiori sobillatori e terroristi che si conosca. Teniamo solo Moccia e Fabio Volo, loro sì che fanno sana letteratura! Portate via il premio Nobel a Ivo Andric e datelo subito all’esimio autore della Solitudine dei numeri primi. Questa sì che è arte! Ma se vogliamo essere corretti, bruciate il Testamento di Francois Villon, che mi sembra così irrispettoso contro tutto (e i preti in primo luogo), poi mettiamoci gli occhiali da sole e via a ballare in Costa Smeralda in questo bel mondo perbenista.

DANTE CONTRO LA PAURA DELL’UOMO CONTEMPORANEO
Concludendo, mi sembra che il gruppo, mosso da buone intenzioni, abbia un po’ esagerato. Se questa provocazione non ha solo scopo pubblicitario, allora c’è qualcosa da dire. Il rispetto dell’alterità non significa l’annullamento di se stessi o delle proprie tradizioni. Bisogna fare attenzione. Il massimo della tolleranza sembra qui coincidere con il massimo dell’autocensura.
L’odio per l’alterità nasce dalla paura, dalla non conoscenza, dalla miopia dell’uomo, e l’arte aiuta a superare queste diffidenze. L’odio germoglia all’interno degli strati sociali più bassi e culturalmente inferiori, tra gente che Dante non sa nemmeno chi sia e per i quali Beethoven è il cane di un film degli anni 90. L’odio, poi, è un’arma politicamente efficace per controllare le masse: trova il nemico, e il popolo si schiererà stretto attorno a te contro il comune antagonista. Forse, invece che disturbare Dante,  i membri del Gherush92 dovrebbe controllare il linguaggio dei nostri politici e dei programmi televisivi, degli spettacoli spazzatura eccetera.
La letteratura, e Dante per primo, è amore, non odio.L’amor che move il sole e l’altre stelle” non mi sembrano parole di un uomo che inneggi al massacro di altri esseri umani. Mi sembra invece che in quest’epoca in cui abbiamo terrore di tutto, la soluzione più sensata che alcuni vedono sia la neutralità: non pensare, non avere un credo né un’idea per paura di urtare qualcuno. L’uomo “nuovo” è un uomo insipido, vuoto, leggero, da fast food, da zapping e da social network, un uomo che risponde a tutto “massì, vabbeh”, che non si stropiccia la maglietta, che separa i calzini nell’armadio. È un uomo polistirolo che non dà fastidio a nessuno.
L’inferno dantesco non ha mai scatenato la guerra, perché studenti e professori sanno che si tratta di una “rappresentazione del mondo medievale”, postilla con cui di solito inizia ogni lezione su Dante, ma forse i gherushini erano assenti quel giorno, infatti sono solo loro a crederci; insomma, come diceva il buon De André: “l’Inferno esiste solo per chi ne ha paura”.

Alessandro Bardin

giovedì 29 marzo 2012

I bambini rom picchiano i bambini

Se avete cinque minuti di tempo andate a leggere una cosa. Il 20 aprile 2011 sul sito “Leggo Italia” viene pubblicato un articolo intitolato “Catanzaro, preso a pugni a sette anni da 2 bimbi rom”.  Riassumendo in breve la vicenda, si racconta di Cristian, ragazzino di sette anni ricoverato in ospedale dopo una lite avuta con alcuni suoi coetanei Rom. Il fatto è accaduto nell’istituto comprensivo di Casalinuovo, scuola posizionata nella periferia sud della città, fra i quartieri di Aranceto e Corvo. I genitori hanno deciso di fare causa alla scuola in quanto, al momento della lite, l’insegnante non era presente.
Ora, a tutti sarà capitato da piccoli di bisticciare con qualche vostro compagno, oppure di vedere coetanei picchiarsi e morsicarsi per facezie. Nessun giornale ha mai speso una riga su di voi o su vostri amici, giustamente. In questo caso si può pensare che, vista la gravità delle condizioni in cui versava il bambino, il fatto meritava alcune righe, quantomeno per sottolineare come la trascuratezza e la mancanza di vigilanza da parte di insegnanti e bidelli possa portare, in alcuni sfortunati episodi, a conseguenze gravi.

Ma l’articolo sembra avere altri obiettivi. L’autore (di cui è ignoto il nome)  si concentra sulla nazionalità dei due bimbi, specificando che: i rom spacciano, ed è diventato un problema per tutto il quartiere; i genitori rom dei bambini rom sono pregiudicati; a questo aggiungete la ripetizione diffusa della parola “rom”. La povertà e la condizione di insicurezza del quartiere, che in qualche modo si intravedono nell'articolo, sono però relazionate alla presenza degli zingari, i quali "spacciano, sono pregiudicati, hanno i figli che mandano all'ospedale i nostri bambini...". C'è un rapporto di causa effetto quindi fra la presenza di rom e il degrado.
Ma quindi, vi chiederete forse voi, la redazione di Leggo Italia è composta da xenofobi? Non credo, purtroppo la risposta però può essere altrettanto semplice: la paura, anche nel mondo della comunicazione, fa vendere copie e porta soldi. E sotto questo punto di vista, “gli zingari” sono un vera e propria miniera di soldi.

[Q]

lunedì 12 marzo 2012

La via per uscire dalla crisi: una ricetta dall’Islanda

A furia di ripetercelo, anche noi ci siamo convinti che in una situazione di crisi generale (e mondiale) la cosa più giusta da fare è seguire la via dell’austerity greca, cioé spalmare il debito sulla popolazione, allungare la manina nelle tasche della gente che, a conti fatti, non ha neanche ben capito da dove arrivi questa crisi.
Quello dell’Islanda potrebbe essere un buon esempio per mostrare come le cose non stanno necessariamente come si dice. Peccato che i telegiornali e i principali quotidiani non ne abbiano praticamente parlato. Ecco allora in breve la storia.
L’Islanda, come molti paese europei, è uscita da un lungo periodo di crescita economica (durato 15 anni) che l’aveva portata ad essere tra le nazioni più ricche al mondo. Seguendo fedelmente un modello economico di “neoliberalismo puro”, nel 2001 prese il via un processo di privatizzazione delle banche. Queste, per attirare investimenti stranieri, puntarono su un programma denominato IcsSave che prevedeva conti online con cui era possibile abbassare i costi di gestione e aumentare i tassi di interesse.
A farsi attirare da questo sistema furono soprattutto i “vicini” inglesi e olandesi. Se in principio questo sistema portò a un generale aumento del capitale, sul lungo periodo provocò anche un aumento del debito estero che nel 2007 raggiunse una cifra pari al 900% del PIL nazionale. La crisi dei mutui subprime (2008) coinvolse anche le banche islandesi, facendo precipitare la situazione; Landbanki, Kapthing e Glitnir, le tre maggiori banche dell’Islanda, fallirono. Unica soluzione fu quella di ri-nazionalizzarle e quindi assumersene il debito (a tal proposito, lo scrittore islandese Einar Már Gudmundsson sostenne che “gli utili sono stati privatizzati ma le perdite sono state nazionalizzate”). Questo processo portò all’inevitabile svalutazione della moneta nazionale rispetto all’euro (- 85%), e l’Islanda fu costretta a dichiarare banca rotta.
Il FMI (Fondo Monetario Internazionale), concesse un prestito di circa 2 miliardi di euro, a cui si aggiunsero ulteriori 2 miliardi stanziati da altre Nazioni del nord Europa. Per garantire il rientro dei capitali, FMI e UE fecero pressioni sul governo islandese affinché attuasse ciò che si vede già all’opera in altri Stati: chiedere sacrifici ai cittadini. Per 15 anni gli islandesi avrebbero dovuto pagare il debito al tasso di interesse del 5,5%, per un totale di oltre 3 miliardi e mezzo di euro.
A questo punto della storia, dove abbiamo visto in scena solo Stati e grandi Enti, entrano in scena i cittadini. Il loro ragionamento suona semplice, logico e lineare: “Perché dobbiamo pagare noi il debito di un privato contratto con un altro privato?”
Seguirono giorni di violente proteste di piazza a Reykjavík che portarono alle dimissioni del governo conservatore di Geir Haarde. Le elezioni furono vinte dallo schieramento di sinistra che, tuttavia, cedette subito alle pressioni straniere, soprattutto di Inghilterra e Olanda. Queste, infatti, si erano già fatte carico del debito dei loro cittadini e premevano per una risoluzione drastica a danno della popolazione islandese.
Ad opporsi fu il capo di Stato Grimsson, rifiutandosi di ratificare la decisione del governo di spalmare il debito sui cittadini e indisse un referendum. Inghilterra e Olanda "minacciarono" (è il termine esatto) il governo islandese, paventando la possibilità di ritorsioni tra cui, non ultimo, l’embargo, e ventilando la possibilità di trasformare l’Islanda nella “Cuba del Nord”. Intervennero a favore della linea dell’austerity (cioè del "sacrificio di tutti") anche FMI, BCE e UE.
Nulla da fare. Il 93% degli islandesi disse che il debito tra privati non era affare loro e si diedero inoltre una nuova costituzione tramite metodi di vera democrazia partecipativa, sfruttando ad esempio il crowdsourcing. Lo Stato Islandese aprì un processo contro i banchieri responsabili e l’Interpol  emise un mandato di arresto internazionale per l’ex presidente della banca Kaupthing.
Qualche giorno fa si è svolto il primo atto di un altro processo penale, questa volta a carico dell'ex primo ministro Geir Haarde, accusato di negligenza nella crisi finanziaria (rischia fino a 2 anni di carcere).
Oggi, le previsioni condotte dall’OCSE (dicembre 2011) sulla crescita del biennio 2012-2013, a fronte di una generale stagnazione o vera recessione, mettono un segno positivo del 2,4% proprio sull’Islanda.
Non bisogna tuttavia lasciarsi prendere dall’entusiasmo e pensare di poter applicare la ricetta islandese con l’Italia. È necessario tenere conto delle enormi differenze tra le due Nazioni: in Italia ci sono 60 milioni di persone a fronte delle 320 mila dell’Islanda. Il loro debito è “solo” di 4 miliardi, mentre quello made in Italy si aggira intorno ai 2mila miliardi.
Rimane un dato di fatto: la soluzione proposta da UE e BCE non è necessariamente l’unica via. Ne esistono altre. Mettere le mani nelle tasche dei cittadini non è il solo modo per salvare le economie mondiali. Ma, soprattutto, l’Islanda insegna che la popolazione può davvero fare qualcosa, basta che non dorma…

Alessandro Bardin

domenica 4 marzo 2012

Vogliamo la mamma? (Lettera Al ministro Anna Maria Cancellieri)

Gentile Ministro Cancellieri, 

sono un ragazzo italiano che da cinque mesi vive e lavora a Barcellona. Nonostante la distanza, continuo a seguire e ad informarmi sulle vicende del mio paese d’origine, e per questo non mi è sfuggita la Sua recente affermazione secondo cui i giovani oggi cercano un “posto fisso vicino a mamma”, seguita a stretto giro dalla critica del Presidente del Consiglio Monti alla monotonia del posto fisso.
All’inizio ho preso molto sul personale le Vostre affermazioni. Ricordare la mia esperienza, che dallo stage post-laurea a Roma mi ha portato all’espatrio dopo una frustrante e infruttuosa ricerca di lavoro, mi ha fatto pensare che magari Lei si riferisse all’imprescindibile vicinanza economica di mia madre. In effetti senza il suo aiuto difficilmente avrei potuto accettare la miseria che mi è stata offerta per lavorare per tre mesi nella Pubblica Amministrazione a 600 km da casa (125 euro in totale!). Poi mi sono ricordato che io almeno sono stato ospitato da alcuni familiari, mentre gli altri 600 neolaureati che hanno partecipato al medesimo progetto, a Roma o in una capitale straniera, hanno dovuto cercarsi e pagarsi un affitto con una retribuzione analoga o addirittura inferiore (molti hanno lavorato gratis). Quindi mi è venuto il sospetto che il desiderio di “cambiare aria”, che mi ha fatto accettare il trasferimento in un altro paese per un lavoro da 450 euro al mese, sia un sentimento comune a moltissimi dei miei coetanei.
In effetti i dati sulla mobilità dei giovani italiani stonano parecchio con le Sue affermazioni. Solo considerando l’università, il numero degli studenti italiani che trascorre un periodo medio di 7 mesi all’estero è passato dai 13 mila dell’anno accademico 2000/2001 ai 17 mila alla fine del decennio, con un aumento del 34%. A questi si aggiungono i circa 40 mila italiani che scelgono di effettuare integralmente all’estero i propri studi universitari. Sarà forse la conseguenza delle deficienze delle nostre università, che come mostra l’ultimo rapporto dell’OSCE escono letteralmente mortificate dal confronto con gli atenei dei paesi anglosassoni, nord europei, statunitensi ed ora persino indiani e cinesi, superiori per qualità dell’insegnamento e per gli importanti investimenti pubblici nella ricerca? Pare che da quelle parti pensino certe politiche rilancino la competitività e l’occupazione in periodo di crisi economica.
Anche dopo la discussione della tesi i numeri restano significativi. Dal 2000 al 2010 ogni anno circa 30 mila ragazzi hanno infatti scelto la via dell’emigrazione pochi mesi dopo la laurea. Si tratta di circa il 3% del totale, cifra che ha raggiunto il 4,5% nel corso del 2011. I dati e le interviste alle persone in questione mostrano che si tratta di giovani usciti dai rispettivi corsi di laurea con brillanti valutazioni, una alta preparazione e il desiderio di mettersi alla prova in realtà in cui il merito è maggiormente riconosciuto. Gli stessi numeri mostrano non solo che a parità di preparazione i giovani neolaureati europei riescono nel giro di qualche anno di lavoro e sacrificio a costruirsi una posizione adeguata al proprio titolo, come funzionari o quadri dirigenti, ma che gli stessi italiani, una volta abbandonato l’ingessato e gerontocratico belpaese, ottengono risultati analoghi se non addirittura migliori nel paese che li accoglie.
Non è dunque un caso il crescente interesse verso i programmi di mobilità europea, tra cui spicca la possibilità di effettuare stage e tirocini all’estero offerto dal Progetto Leonardo; così come non è casuale il grande successo degli strumenti di divulgazione di questa e altre opportunità. Da realtà istituzionali e transnazionali come il portale Eures, che promuove la mobilità internazionale di tutti i cittadini dell’Unione Europea, si arriva ai portali creati dagli stessi ragazzi italiani, che hanno colto l’esigenza dei propri coetanei di cercare nuovi stimoli lontano da casa ed hanno creato siti come “Il Portale dei Giovani di Prato” e “Scambi Europei” (solo per fare due esempi). Ogni giorno sono migliaia i contatti che leggono e inviano le proprie candidature per i progetti di studio, lavoro e scambio all’estero lì pubblicati.
Mi piacerebbe concludere con un piccolo ma significativo esempio di cui sono stato testimone, e che forse più dei numeri rende l’idea dell’erroneità della Sua affermazione, Signor Ministro. Negli stessi giorni in cui Lei ci ricordava di essere un popolo di giovani bamboccioni, ho vinto un concorso per un tirocinio nelle istituzioni europee (vado ancora più lontano dalla mia mamma), e si è creato il problema di sostituirmi nell’ufficio in cui lavoro a Barcellona. Su mio suggerimento, abbiamo messo l’annuncio proprio su uno dei portali di cui le parlavo sopra, e nonostante il mio scetticismo (mi chiedevo: “chi mai accetterà uno stage in cui si richiedono quattro lingue per 450 euro al mese?”), come aveva previsto il responsabile del sito il giorno dopo sono arrivati circa 400 curriculum. Lavorando in un piccolo ufficio, ho dato una mano a selezionare le candidature, e così ho letto una buona parte dei curriculum e delle appassionate lettere di motivazione di persone laureate con voti altissimi nei settori più disparati, con esperienze di studio e lavoro in diversi paesi europei e una invidiabile conoscenza delle lingue. Lo stupore è diventato rabbia quando ho pensato che profili del genere, che in altri paesi sarebbero già avviati a carriere e retribuzioni di ben altro livello, quasi implorassero la possibilità di essere messi alla prova per una cifra che certo non retribuisce il reale valore della prestazione, e che per quanto si possa risparmiare non permette certo di vivere all’estero senza il sostegno della propria famiglia. Ironia della sorte, la persona che è stata scelta è un italiano che sta studiando in Francia e che nel forum del sito ha criticato con forza chi ha commentato ironicamente la bassa retribuzione offerta, dicendo che aveva ragione ma che era troppo facile lamentarsi senza nemmeno provare ad avviare un cambiamento che passasse da un forte sacrificio personale.
Vista così, Signor Ministro, e a meno che non abbiamo tutti scoperto che i nostri padri hanno fatto qualche scappatella amorosa all’estero una ventina d’anni fa, mi sembra evidente che la tenacia, il coraggio e la forza di fare piccoli e grandi sacrifici per seguire i nostri sogni, o almeno cercare un futuro migliore, non ci mancano. Fosse che invece che ai giovani, i problemi italiani siano legati ad altre, ben più gravi, questioni "tecniche"?

Carlo Marcotulli

lunedì 20 febbraio 2012

La finanza delle opinioni

La crisi finanziaria che ci accompagna ormai da diversi anni ci ha reso migliori, più consapevoli: abbiamo scoperto alcuni vocaboli della lingua inglese capaci di incutere terrore. Al bar si parla di spread, il parrucchiere ci consiglia il bond sul quale investire il nostro denaro e la notte, prima di dormire, preghiamo perchè il default non ci sorprenda all'improvviso.
Ma i termini sopracitati sarebbero privi di carica emotiva se non vi fosse il rating. Il vocabolario ci aiuta definendolo valutazione. Questa valutazione è espressa da 3 agenzie americane che hanno una sorta di monopolio della verità, sono insomma degli oracoli dei nostri giorni: Standard & Poor's, Moody's e Fitch. In alcune interviste rilasciate ai media americani i membri delle tre agenzie hanno “declassato” il concetto di rating da giudizio/valutazione a semplice opinione.
Le agenzie agiscono come dei perfetti amici: dicono agli Stati e alle imprese se si stanno comportando più o meno bene da un punto di vista economico-finanziario. Essendo anche e soprattutto società a scopo di lucro, alle agenzie in questione vengono commissionate delle opinioni: un'azienda chiede di essere valutata in cambio di un compenso economico. La società in questione ottiene il responso e decide di tenerlo o meno segreto in base all'impatto che esso potrà avere sui mercati. Qui sorge un primo dubbio: io chiedo a un amico cosa pensa di me e lui esprime serenamente il suo pensiero. Se io però lo pago siamo sicuri che sarà sincero?
In questo meccanismo apparentemente semplice, anche se un po' nebuloso, si inseriscono dei regolamenti nazionali e sovranazionali che impongono alle società di non avere investimenti in situazioni che siano a rischio, cioè che abbiano un rating sotto standard predeterminati. Un secondo punto di interesse che fa sorgere ulteriori dubbi sulla natura di queste opinioni riguarda i fatturati delle agenzie di rating dal 2003 al 2007: Moody's, ad esempio, ha quadruplicato i propri profitti in piena crisi e anche le altre due agenzie di rating si sono difese molto bene.
Nel calderone di regolamenti e fatti ne voglio aggiungere un altro. In questi anni abbiamo assistito a numerosi fallimenti e salvataggi da parte degli stati di società leader nei propri settori: Lehman Brothers, colosso delle banche di investimento, è fallita trascinando nel baratro l'economia americana; AIG, 190 mld di dollari di capitalizzazione nel 2006, è stata salvata dal fallimento dai contribuenti americani. Stesso destino hanno avuto Freddie Mac e Fannie Mae, società di riferimento del mondo dei mutui americani. In Italia abbiamo avuto il fallimento Parmalat che ha creato un buco da 14 mld di Euro, il più grande della storia europea. Comune denominatore di queste tragedie finanziarie sono stati i giudizi costantemente positivi da parte delle agenzie di rating, anche nei giorni precedenti ai tracolli sopra elencati.
Standard & Poor's, Moody's e Fitch hanno mentito sulle opinioni espresse per condizionare il mercato globale? Hanno sfruttato informazioni riservate per aumentare a dismisura i propri profitti facendo partecipare alcuni amici al grande banchetto dei guadagni di borsa? Sono formate da professionisti disattenti o addirittura incompetenti che hanno portato milioni di risparmiatori sul lastrico? Mi metto nei panni delle agenzie di rating. Credo che tutto questo disastro sia dovuto alla normale stanchezza che inesorabile colpisce il potere assoluto, in questa caso il monopolio dell'opinione vincolante. E' uno stress insopportabile avere in mano i destini economici del mondo. Dovremmo ringraziare le persone che lavorano e decidono il nostro futuro perchè ci tolgono l'onere di pensare e ci lasciano l'onore di investire i nostri averi secondo i loro dettami. Capita a tutti di sbagliare, alla fine sono solo soldi e, come direbbe un vero amico, i soldi non fanno la felicità.

Marco Barbato

domenica 12 febbraio 2012

Federconsumatori vs Bpm

Venerdì 10 febbraio era l’anniversario della nascita di Bertold Brecht, il famoso drammaturgo che disse in tempi non sospetti  «il vero ladro non è chi rapina la banca, ma chi la fonda». Stando alle ultime vicende, pare non avesse tutti i torti.
È di questi giorni infatti la notizia ufficiale dell’avvio, da parte di Federconsumatori, di una class action contro la Banca popolare di Milano (Bpm). Gli avvocati dell’associazione hanno depositato l’atto al tribunale di Milano. Ora bisognerà aspettare la fine di aprile per la prima udienza sull’ammissibilità.
La vicenda è quella dei bond “convertendo”. Il titolo di debito, con scadenza 2013, fu lanciato ed emesso nel 2009 da Bpm e convertito in anticipo in azioni alla fine dello scorso anno. Il rendimento promesso era talmente elevato, il 6,75%, da convincere circa 15.000 clienti della banca ad acquistarlo, convinti effettivamente di fare un affare. Alla fine dell'anno appena trascorso però, la sorpresa. In seguito al crollo delle azioni della banca molti clienti avevano scoperto di aver perso moltissimo del loro capitale, alcuni addirittura fino al 90%.  Questo perché il titolo in questione non rappresentava una vera obbligazione, ma un derivato non negoziato in borsa, venduto agli interessati senza informazioni sulla sua reale natura e senza la necessaria consapevolezza del rischio a cui andavano incontro.
L’avvocato Massimo Cerniglia, uno dei curatori dei ricorsi per Federconsumatori, spiega che, oltre alla scarsa informazione, viene contestato alla banca la non corretta valutazione del profilo di rischio, non adatto a semplici risparmiatori. Inoltre, alcuni clienti si sono visti aumentare il profilo di rischio automaticamente, senza nessun avviso. Insomma, una vera e propria truffa.
Già a giugno del 2011 la Procura di Milano aveva aperto un fascicolo nei confronti di Bpm: per il momento non ci sono accuse vere e proprie nei confronti di nessuno. Però, a testimonianza dell'atteggiamento scorretto della banca nei confronti dei suoi clienti, c’è la sanzione di 175.000 euro che la Consob ha comminato al direttore generale della banca per non aver agito con la necessaria correttezza e trasparenza.
Ad avere espresso la volontà di adesione alla class action sono circa 400 persone, che potrebbero salire fino a 5 mila in caso di dichiarata ammissibilità dell’azione da parte del tribunale. In quel caso si parlerebbe probabilmente di richieste di risarcimento per svariati milioni. 
La prima udienza di ammissibilità sarà a fine aprile, da lì in poi, a seconda della sentenza, gli scenari saranno diversi.

Nel frattempo, buon compleanno Bertold Brecht.

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